Studi biblici

STUDIO

IL PASTORE

Il famoso scrittore Frederick Forsyth, in un racconto intitolato: “Il Pastore”, 

narra la disperazione di un pilota della Seconda Guerra Mondiale che si 

perse nel bel mezzo di una tormenta vicino alle coste inglesi. Ritornarono 

alle sua mente le istruzioni che ricevette durante l’addestramento: “Vola 

eseguendo un triangolo e vedrai apparire il pastore per aiutarti”. 

“Perché si chiama il pastore?” domandò. Gli risposero: “Perché dovunque 

c’è un pilota che si perde in una notte di tormenta, lì ci sarà lui per condurlo 

fino al porto sicuro”.

Sicuramente il pastore è una guida. Con le sue parole e col suo esempio 

segna il cammino della vita cristiana. Va avanti, non per spirito di 

competizione, ma per beneficiare altri. Egli deve poter vedere qualsiasi 

membro della congregazione nella sua notte tempestosa per poterlo portare 

al sicuro. 

George G. Landino descrive il pastore come un “uomo di Dio che si dedica a 

studiare e a predicare la Parola di Dio; vive per la sua chiesa e soffre per 

essa”.

James E. Giles dice: “Il pastore non solo è il custode delle inestimabili 

ricchezze di Cristo, ma ha anche la responsabilità della salvezza delle 

anime” E continua affermando: “E’ uno dei privilegi più alti e più sacri che 

può ricevere un essere umano. Il pastore ha l’opportunità di essere coi 

1fedeli in speciali momenti della loro vita, momenti di suprema felicità e di 

profondo dolore”.

La descrizione di Angel Bonatti, argentino, sembra molto interessante: “Io 

sono dell’idea che un pastore impari a vivere nel ministero, quando è vicino 

alla morte, è alla fine della carriera che può ritenersi un vero esperto. Per 

questo dobbiamo tener conto che per il compito pastorale è necessaria la 

sapienza di Salomone, la pazienza di Giobbe, l’esperienza di Matusalemme e 

il cuore di Davide”.

Di una cosa possiamo essere certi: il suo compito è il più complesso, dolce 

e doloroso del mondo.

Il teologo G.B. Williamson dice che: “Tutte le descrizioni scritturali per il 

ministro dell’evangelo implicano una solenne responsabilità davanti a Dio, 

perché quest’uomo chiamato da Dio deve essere profeta, sacerdote, servo 

di Dio, operaio della vigna, uomo di Dio, vescovo, anziano, ambasciatore, 

angelo della chiesa, pastore e custode del gregge di Dio”.

UN UOMO MULTIFUNZIONALE

Anche se ci sono professioni che obbligano ad assumere diverse funzioni, 

nessuna è come quella del pastore. E non ci riferiamo al ministro che 

preferisce essere “uomo orchestra” che non delega e fa tutto lui come se 

2non fosse possibile preparare altri e dare loro opportunità di servizio. No, ci 

riferiamo a quel pastore che espleta tutta una serie di attività complesse 

come predicatore, insegnante, oratore, leader, amministratore, visitatore, 

redattore, promotore, orientatore, moderatore e, molte volte, autista e 

investigatore.

UN UOMO DAI “MILLE VOLTI”

Se credete che esageri accompagnatelo un poco nelle sue uscite e annotate 

le attività realizzate.

Nel corso di una giornata può partecipare ad un servizio funebre, fare una 

visita in ospedale, presiedere una riunione del consiglio di chiesa o di 

rendiconto e magari alla fine incontrare una coppia di giovani felici che 

intendono sposarsi.

UN UOMO SCONOSCIUTO

E, anche se sta sempre davanti a tutti, alla luce del giorno dirige, predica, 

insegna, visita, parla e consiglia, è per tutti un vero sconosciuto. Per una 

ragione o per l’altra, ogni pastore evangelico potrebbe, a pieno titolo, dire 

3come Gesù: “Da tanto tempo sono con voi, e ancora non mi hai 

conosciuto?” Anche se appare un pò come il fenomeno lunare, di lui si 

conosce solo il lato illuminato. Sempre c’è una zona che nessuno vede, 

nemmeno i suoi più intimi collaboratori. È sconosciuto, a meno che non si 

racconti con dei cenni autobiografici nei suoi sermoni, presentando dettagli 

del suo passato, della sua preparazione, delle sue molte esperienze o i 

particolari della sua chiamata.

Sconosciuti sono i suoi limiti, i suoi talenti (eccezion fatta per quelli che più 

emergono), la sua salute, le sue aspirazioni, i suoi problemi personali e 

finanziari, i suoi hobbies etc.

Per questo, alcune volte, dei mormoratori posso dedicarsi a sparlare di 

quest’uomo che in realtà non conoscono. Essi dicono:

“Se è giovane, gli manca l’esperienza.

Se è avanti negli anni, già non ha più entusiasmo. 

Se è sposato, costa troppo. 

Se è celibe, non è di buon esempio.

Se predica servendosi di note, ha sermoni preconfezionati.

Se non usa note manca di profondità.

Se studia molto, non cura la gente, mentre se visita è un girovago. 

Se suggerisce programmi, è un dittatore.

Se lascia che decida la congregazione, non ha carattere. 

Se lavora molto è ambizioso, se lavora poco è un fannullone.

Se cita le Scritture è un pietista, se non le cita gli manca la consacrazione 

etc. etc.

UN UOMO DI RINUNCIA

Anche se molti lo ignorano e altri lo dimenticano, il ministro cristiano è 

l’uomo che, consapevolmente e per l’inesplicabile natura della sua missione, 

rinuncia volontariamente a cose come il denaro, la comodità, la libertà, la 

stabilità personale, la privacy ed i suoi progetti per il futuro. La richiesta 

divina è che sia “servo”, seguendo il modello del suo Signore che con gioia 

prese la bacinella e l’asciugatoio per lavare i piedi di quelli che Lo 

seguivano. Egli rinuncia ai suoi beni e diritti terreni, perché questi sono stati 

rimpiazzati da valori eterni. Tutto questo è parte di ciò che riguarda la 

designazione di “pastore”.

4UOMO CON “FANTASMI”

Quello che molti membri di chiesa ignorano è che il pastore vive assediato 

da ombre minacciose molto diverse dalle normali tentazioni. Sono come 

fantasmi che intermittentemente minacciano la sua vita come pastore. Per 

esempio, schierandosi al fianco di Dio, la minaccia è costituita sia dal 

peccato di ribellione da parte della chiesa in generale, che da un peccato 

specifico di qualche membro della chiesa in particolare.

Lo scoraggiamento: quando la chiesa non cresce in risposta ai suoi 

insegnamenti, questo è un “fantasma” grigio che lotta continuamente per 

paralizzare l’azione pastorale.

La solitudine: quante volte è solo nelle sue lotte. Un fenomeno quasi 

sconosciuto alla maggioranza dei credenti, ciononostante, molti grandi 

uomini di Dio hanno dovuto convivere con la solitudine. I conflitti nella 

chiesa, le frustrazioni, le interruzioni, i bisogni, i sentimenti di fallimento e il 

dover comunque continuare quotidianamente senza farsi prendere dall’ira. 

Questi sono “fantasmi” neri che circondano la vita di ogni ministro cristiano, 

con maggiore o minore intensità.

UOMO DI CONFLITTI

Il pastore è e sarà sempre un uomo in tensione per il continuo esaurimento 

delle energie spirituali e mentali. In lui convergono forze opposte. Guidare 

5una chiesa lo porta a dover affrontare situazioni di conflitto. Nella maggior 

parte dei casi la sua fede e il rivestimento dello Spirito Santo, producono in 

lui una serenità che lo abilita al servizio. Ma quando per debolezza spirituale 

i conflitti rompono questo equilibrio, allora c’è un uomo in crisi (e a chi lo 

racconta?). Se c’è qualcosa che pochi credenti comprendono, queste sono 

le lotte interiori di un uomo soggetto a debolezze come gli altri, ma 

consacrato a Dio. Vediamo sommariamente alcune delle tensioni a cui è 

sottoposto:

Fra la voce di Dio (la Bibbia) e le esigenze della chiesa.

Fra lo spirituale e il materiale.

Fra il consiglio di chiesa e l’assemblea

Fra la famiglia e la chiesa

Fra la sua coscienza e le tradizioni o regolamenti ecclesiastici

Fra i giovani e gli adulti. 

Come pastore deve mantenere queste forze opposte in equilibrio, tanto per 

il suo lavoro che per le sue necessità. Deve discernere e aiutare la sua 

gente a distinguere fra verità eterne dell’evangelo e inezie che fanno 

appello al piacere di qualcuno.

UN UOMO CHIAVE

Anche se a prima occhiata non sembrerebbe, il pastore è l’uomo chiave in 

mezzo all’oscurità di questo mondo. Mediante il suo molteplice ministero 

(preghiera, predicazione, insegnamento, consulenza, etc.) svolge un lavoro 

poco visibile che penetra nella società umana e la modella. 

L’insigne scrittore Charles Silvester Horne scriveva: “Il pastore, messaggero 

di Dio, è il vero signore della società; non scelto da essa come suo 

governante, ma scelto da Dio per formarvi i suoi ideali da guidarla nel 

sentiero della vita”.

UOMO DI DIO

Questo è, a mio parere, il miglior titolo che si può dare ad un pastore: 

uomo di Dio. Si riconosce per la sua vita di preghiera, per l’impegno che 

profonde nella guida della chiesa, per come si muove in essa, nella famiglia 

e nella società.

Si riconosce per il suo impegno nell’insegnamento della Bibbia, affinché 

questa sia la base sulla quale cammini ogni membro della sua 

congregazione. Si riconosce per la sua consacrazione a Gesù Cristo, perché 

cammina con Lui, vive per Lui, fino a che non sarà simile a Lui. Esiste forse 

un compito più nobile e glorioso di questo sulla faccia della terra?

 

STUDIO

IN DIO CONFIDIAMO 

 

Correva l'anno 1864 e per la prima volta su una moneta degli Stati Uniti 

d'America appariva il motto “In God we trust” (in Dio confidiamo), che 

avrebbe progressivamente sostituito “E pluribus unum”, espressione latina 

per “Da molti, uno”, riferito ai tredici Stati che avevano inizialmente formato gli 

USA. 

Con ogni probabilità questo motto fu tratto da una strofa dell'inno nazionale 

americano scritto nel 1814 da Francis Scott Key e approdando sul conio del 

dollaro statunitense ricevette riconoscimento ufficiale dalla legislazione 

confederata nel 1956, in netta contrapposizione all'ateismo promulgato 

dall'Unione Sovietica negli anni della Guerra Fredda e in testimonianza della 

fiducia in Dio di un intero popolo. 

Ancora oggi, chiunque si trovi tra le mani il famoso “biglietto verde”, 

qualunque sia il suo taglio, troverà queste parole fregiate a chiare lettere. 

Certo, è interessante notare che proprio sulla moneta simbolo dell'economia 

più forte del mondo ci sia un chiaro monito su cosa, o meglio su Chi tu debba 

porre la tua fiducia. Su una banconota di carta o sul Creatore della Vita e 

dell'Universo. 

Ogni essere umano, a prescindere dalla sua etnia, origine, lingua e cultura, 

ha innato in sé il bisogno di affidarsi a qualcuno. Osserva insieme a me un 

bimbo appena nato e noterai che già fin dalle prime ore di vita non farà altro 

che cercare la vicinanza alla madre dalla quale riceve calore, nutrimento e 

affetto; tutto questo non cambierà e col trascorrere degli anni il piccolo 

cercherà sempre nei genitori il sostegno per la vita e il rifugio nei momenti di 

difficoltà. Eppure realizziamo che anche i migliori genitori che negli anni della 

fanciullezza ci apparivano come dei supereroi invincibili e infallibili ai quali 

affidarci, con tutto il loro affetto e i loro sforzi non riescono a dare una risposta 

e soluzione ad ogni problema. Inizi così a cercare altre fonti di sicurezza e fiducia: gli amici degli anni 

dell'adolescenza, un lavoro stabile, una solida posizione economica, una 

famiglia tutta tua. 

Eppure, onestamente, sei sicuro di affidare l'intera tua vita, mettere tutta la 

tua fiducia in un amico, dormire sogni tranquilli perché hai un buon conto in 

banca o un buon lavoro? 

 

 

Affidarsi a Dio in tempi di crisi economica 

Gli anni recenti hanno riservato amare sorprese a quanti avevano posto tutta 

la loro fiducia sulla stabilità economica della loro esistenza: il crollo delle 

Borse mondiali ha mandato in fumo miliardi senza alcun preavviso, la 

globalizzazione dei mercati ha cancellato come un colpo di spugna tanti posti 

di lavoro e con essi la fiducia di generazioni intere di ripercorrere il cammino 

dei propri genitori per “sistemarsi”. Quante delusioni tra quanti avevano 

messo la loro fiducia nel tenere in mano quel “biglietto verde”, quello e 

quell'altro investimento, questo e quest'altro lavoro. 

La Bibbia ci invita a non mettere la nostra fiducia e la nostra affezione sui 

beni materiali, pur necessari a condurre un'esistenza dignitosa: “Se le 

ricchezze abbondano, non vi mettete il cuore.” (Salmo 62:10). Le risorse 

finanziarie ed economiche sono piuttosto uno strumento che Dio mette al 

nostro servizio per raggiungere gli scopi che Egli ha preparato per noi, 

funzionali alla nostra esistenza: in altre parole il denaro deve essere nostro 

servo e non viceversa. Quanti finiscono col diventare servi del denaro! 

 

Affidarsi a Dio in tempi di crisi etica 

Per generazioni intere le convenzioni sociali e le sue istituzioni hanno 

rappresentato qualcosa su cui tanti hanno fondato la propria esistenza e le 

proprie convinzioni. Anche in questo ultimamente la società non è stata parca 

di delusioni su vari fronti, a partire dalla famiglia. Ad esempio, ricordiamo che 

le ultime statistiche in Italia parlano di un tasso di divorzi più che raddoppiato 

negli ultimi 20 anni, fino a raggiungere il 30%; vale a dire che un matrimonio su tre naufraga in un divorzio e tra questi la metà avviene nei primi tre anni 

dall'unione matrimoniale. 

Le cronache poi ci parlano di un tessuto sociale sempre più permeato di 

corruzione, illegalità diffusa ad ogni livello e di un'umanità sempre più lontana 

dal rispetto della vita e di se stessa. 

La Chiesa di Gesù Cristo continua ad essere “luce” in un mondo di tenebre e 

annuncia la Parola di Dio senza compromessi, convinti che Dio, nel Suo 

amore, desideri risparmiare all'uomo le sofferenze conseguenza del peccato. 

Siamo più che mai convinti che debba essere il mondo ad adeguarsi alla 

Bibbia e non la Bibbia ad adeguarsi ai tempi. 

 

 

Affidarsi a Dio in tempi di crisi spirituale 

I media, televisione “spazzatura” in testa, continuano a proporre ed esaltare 

un modello di vita all'impronta dell'individualismo e dell'umanesimo più 

insensato. L'uomo al centro dell'universo, con le sue necessità materiali e i 

suoi capricci da soddisfare innanzitutto, che può farcela da solo, senza 

nessuno e soprattutto senza Dio. 

Un modello infinitamente lontano dalla triste realtà non solo delle popolazioni 

indigenti del Terzo Mondo, ma anche dai milioni di persone che 

nell'Occidente del pianeta arrancano in un'esistenza fatta di una rincorsa 

insoddisfatta a un modello spesso irraggiungibile. 

Talvolta, alcuni cercano rifugio nelle religioni, nella pratica di riti esteriori che 

non portano all'incontro con l'Iddio vivente, solo per rimanere delusi da quanti 

pretendono di intermediare il rapporto tra l'uomo e Dio. In questi casi la 

delusione è ancor più amara di quella ricevuta da un'amicizia tradita o di un 

progetto fallito. 

La Bibbia dice chiaramente che nessuna religione può essere il tuo 

intermediario con Dio, ma che Gesù Cristo è l'unico mediatore tra Dio e 

l'uomo, mediante il sacrificio che ha compiuto sulla croce. “Infatti c'è un solo 

Dio e anche un solo mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo, che ha 

dato se stesso come prezzo di riscatto per tutti;” (1 Timoteo 2:5-6)  

Affidati oggi alla grazia di Dio in Gesù Cristo 

La Bibbia ci presenta il piano di Redenzione per l'umanità e che Dio ti offre 

personalmente e gratuitamente in Gesù Cristo. Mettere la tua fiducia nel 

denaro, nelle persone, o anche nella religione può portarti a cocenti delusioni, 

ma ancor peggio a mancare il vero scopo della tua esistenza: vivere in 

comunione con Dio nella vita terrena e nella vita eterna. 

Ti invitiamo a leggere la Parola di Dio e a confrontarti onestamente con 

l'invito che Dio ti rivolge. Affidati completamente al Signore Gesù la salvezza 

dell'anima tua, la tua famiglia, il tuo futuro e non rimarrai deluso dalla fedeltà 

e dalla Grazia di Dio.

 

STUDIO

IL PETTEGOLEZZO 

 

 

 

Qualcuno, una volta, ha paragonato il pettegolezzo e la maldicenza ad un cuscino di piume 

sparse al vento da un luogo elevato. 

Anche a ravvedimento avvenuto e a scuse fatte, le piume non sono recuperabili; almeno 

non tutte. 

Signore abbi pietà di noi, quando disavvedutamente facciamo del male al nostro prossimo 

(e a noi stessi!) spargendo cuscini di piume. 

"Se si vuole evitare di far del male agli altri o di essere prima o poi annoverati tra le 

vittime della maldicenza, è importante sapere dove si ferma la conversazione inoffensiva e 

dove inizia invece il pettegolezzo nocivo". 

Il pettegolezzo può essere divertente e stimolante, ma anche vendicativo e distruttivo. 

Perché una banale o anche "amichevole" conversazione molto spesso degenera in 

pettegolezzi nocivi? 

Come evitare lo slittamento in forme che si rivelano dannose per la salute spirituale di 

credenti e comunità? 

 

 

 

IL POTERE DEL PETTEGOLEZZO 

Il pettegolezzo ha un potere formidabile. 

Spesso e volentieri è alla base di litigi, contrasti e disordini pubblici; può infrangere i 

legami familiari e rovinare carriere promettenti. Tra gli altri mali di cui lo si rende 

responsabile, figurano le notti insonni, il dispiacere e la tristezza. Probabilmente siamo già stati anche noi vittima di un pettegolezzo, ma se non lo siamo 

stati c'è da aspettarsi che un giorno o l'altro qualcuno tenterà di “spararci alle gambe”, 

cercherà di dir male anche di noi. 

Non soltanto il pettegolezzo resiste, ma è fiorente. 

Fino ad ora, nessuna legge e nessun metodo umano è stato capace di stroncare i suoi 

effetti devastanti. 

È dappertutto, lo si trova nelle famiglie come nelle comunità, nei circoli elitari come negli 

ambienti popolari, nella politica e perfino nell'ambito religioso. 

È comunque quasi quanto il respirare. 

Certamente, la maldicenza rivela un aspetto ripugnante della natura umana, quando ci si 

alletta nell'offuscare la reputazione di chi ci circonda, nel distorcere la verità e nel 

frantumare la serenità dell'esistenza altrui. 

Perciò, se si vuole evitare di far del male agli altri o di essere prima o poi annoverati tra le 

vittime della maldicenza, è importante sapere dove si ferma la conversazione inoffensiva e 

dove inizia invece il pettegolezzo nocivo. 

 

IL FASCINO PERVERSO DELLA MALDICENZA 

Le innocue conversazioni da salotto spesso degenerano in dicerie maliziose e incontrollate. 

Talvolta, le parole oltrepassano i limiti trasformandosi in calunnia pura e semplice, che 

viene definita come “una imputazione menzognera che attenta alla reputazione, all'onore 

di qualcuno” 

“Il vento del nord porta la pioggia, e la lingua che sparla di nascosto fa oscurare il viso” 

(Proverbi 25:23). Un'altra traduzione così rende il versetto: “Il vento del nord genera la 

pioggia, e le maldicenze provocano la collera altrui”. 

Tenuto conto del suo potenziale distruttivo, come spiegare che il pettegolezzo esercita 

spesso una tale attrattiva, che sia cioè così irresistibile? 

E ancora, dove si situa la linea di demarcazione tra considerazione inoffensiva e diceria 

perniciosa? 

Molto spesso, le conversazioni inoffensive slittano su un terreno improprio oltrepassando i 

limiti dell'educazione e del buon gusto. 

I fatti vengono adornati, ingranditi o deformati. 

Spesso la risata prorompe proprio quando si riesce ad umiliare gli altri. 

Gli affari privati vengono svelati, le confidenze tradite, la reputazione compromessa o 

addirittura distrutta. 

La recriminazione, il mormorio e la critica sono capaci di offuscare anche le azioni più 

meritevoli. 

Che vi sia o non vi sia la deliberata intenzione di nuocere non è di grande consolazione per 

la vittima. Perciò si è paragonato il pettegolezzo pernicioso a del fango gettato su di un 

muro tinteggiato di recente: anche se non resta incollato, lascia sempre una macchia. 

La maldicenza è un mezzo pratico per iniziare ad intrattenere una conversazione e di farsi 

così accettare dall'interlocutore. Infatti, è dimostrato dall'esperienza che generalmente le 

persone provano un interesse molto più profondo nell'ascoltare delle dicerie negative che 

delle parole costruttive. 

Alcuni sembrano anche provare piacere nel dare conto di ciò che li scandalizza, perciò si 

abbandonano a rivelazioni sensazionali e salaci. 

Il pettegolezzo costituisce quindi un eccellente mezzo per attirare l'attenzione su di sé: più 

la diceria pesca nello scandaloso e lo scabroso, maggiore sarà il suo potere di attrazione e 

di far colpo sull'ascoltatore. Raramente, invece, ci si preoccupa di fornire delle prove da indicare come fondamento alle 

affermazioni pronunciate. 

Proprio per questa sua capacità di solleticare le passioni e di far leva sul sensazionale, la 

maldicenza conserva intatto il suo fascino perverso, che miete vittime anche in una società 

cosiddetta “avanzata” come la nostra e appare irresistibile anche alle menti più raffinate. 

 

 

 

Il pettegolezzo malevolo: la calunnia 

L'invidia e l'odio sono spesso all'origine della forma più distruttiva del pettegolezzo: la 

maldicenza, il pettegolezzo malevolo ovvero la calunnia. 

Certuni parlano dei loro simili con una intenzione volutamente cattiva. 

Il motivo è talvolta un desiderio di vendetta nato dalla gelosia o da un'offesa ricevuta 

oppure dall'invidia opportunamente dissimulata o ancora da una naturale, insana 

predisposizione alla mistificazione della realtà. 

Quale sia la causa l'origine invece è certa, infatti “è dal di dentro , dal cuore degli uomini, 

che nascono cattivi pensieri... calunnia...” (Marco 7:21,22). 

Chi si dedica alla diffamazione cerca comunque di favorire i propri interessi rovinando la 

reputazione altrui. 

Anche se la calunnia è indubbiamente la più condannabile delle forme di pettegolezzo, 

ogni intenzione nefasta e maligna rivela mancanza di responsabilità e costituisce un danno 

alla morale. 

 

Come evitare gli effetti dannosi della maldicenza? 

Le conversazioni inoffensive ed informali a proposito di amici e di conoscenze si 

propongono molto spesso come uno strumento di comunicazione ed un mezzo per 

intrattenere delle relazioni con i nostri simili.  

Tuttavia nulla può giustificare il pettegolezzo pernicioso, né la calunnia. 

Le dicerie così propalate fanno male e lasciano profonde ferite. Possiamo anche rovinare 

delle buone relazioni, compromettere la reputazione e la serenità dei nostri simili. 

Come fare per restare nei limiti del convenevole e non cadere nel pettegolezzo dannoso? 

Come evitare di essere voi stessi vittima di questa perversa abitudine? 

La Bibbia offre alcuni consigli mai forniti finora sull'argomento, nemmeno dalle menti più 

illuminate che l'umanità possa vantare. 

 

· Controllare la propria lingua: 

“Nella moltitudine delle parole non manca la colpa, ma chi frena le sue labbra è prudente” 

(Proverbi. 10:19). 

 

Vale a dire, “Riflettiamo prima di parlare”. 

Prima di dire qualunque cosa su di qualcuno, domandiamoci: “Oserò ripeterlo in sua 

presenza? Che cosa avrei pensato se ciò fosse stato detto di me?” (cfr. Matteo 7:12). 

 

Nel Salmo 39:1, si legge: “Farò attenzione alle mie vie per non peccare con la mia lingua; 

metterò un freno alla mia bocca”; 

· Non prestare ascolto alla maldicenza. 

Le chiacchiere incontrollate non sono le sole da mettere sotto accusa; coloro che prendono 

piacere ad ascoltarle hanno anche la loro parte di responsabilità! 

Il semplice fatto di ascoltare può essere interpretato come un'approvazione silenziosa e 

rappresentare al tempo stesso un modo per favorire la propagazione delle dicerie 

perniciose: “Il malvagio dà ascolto alle labbra inique, e il bugiardo dà retta alla cattiva 

lingua” (Proverbi 17:4). Di conseguenza quando una conversazione scivola su un terreno 

scabroso, dobbiamo avere il coraggio di dire: “Forse è il caso che parliamo di 

qualcos'altro!” E se i nostri amici si rivelano dei pettegoli inveterati, è opportuno cercare 

altre compagnie! 

“Chi va sparlando palesa i segreti; non t'immischiare con chi apre troppo le labbra” 

(Proverbi 20:19). Una traduzione rende il verso nel modo seguente: “Evita quindi la gente 

che parla molto”. 

Sarebbe d'altronde sorprendente se prima o poi non diventassimo proprio noi l'oggetto di 

conversazione! 

 

· Non reagire in modo eccessivo al pettegolezzo. 

La maggior parte delle persone ama spettegolare finché non sono loro ad essere chiamate 

in causa. 

Immaginiamo, però, che si faccia correre sul nostro conto una storia menzognera o delle 

cattive dicerie. 

È possibile talvolta risalire alla sorgente e rettificare con calma le cose. 

Che fare, poi, se questo risulta impossibile? 

Andare in collera non servirebbe a nulla. Infatti chi è pronto ad andare in collera compie 

degli atti insensati avverte la Bibbia (Proverbi 14:17). 

Dalla bocca di Salomone ci viene questo consiglio: "Non porre dunque mente a tutte le 

parole che si dicono (...); poiché il tuo cuore sa che sovente anche tu hai maledetto gli 

altri” (Ecclesiaste 7:21,22). 

Il pettegolezzo “fa parte della vita” ed è probabile che in un momento o nell'altro noi ci 

siamo anche lasciati andare! · Non gettare benzina sul fuoco. 

Se la diceria continua a diffondersi, chiediamoci se non siamo noi a fornire agli altri 

materia per spettegolare! Può succedere infatti che proprio con un comportamento 

dubbioso suscitiamo dei sospetti. 

Quindi se siamo noi ad essere vittima della calunnia, perché non domandarci se la nostra 

condotta, il nostro comportamento di fronte agli altri non portano acqua al mulino dei 

nostri denigratori? 

Forse potremmo contribuire a far sì che cessino le dicerie cambiando qualche cosa nel 

nostro stile di vita: "Quando manca la legna, il fuoco si spegne" (Proverbi 20:26); “Non 

v'ingannate; non ci si può beffare di Dio; poiché quello che l'uomo avrà seminato, quello 

pure mieterà” (Galati 6:7); “Perciò chi si pensa di stare ritto, guardi di non cadere” (1 

Corinzi 10:12). 

 

· Occuparsi degli affari propri. 

Eviteremo molti dispiaceri, agli altri e a noi stessi, applicando alla nostra vita questo saggio 

consiglio: “Tutte le cose vere, tutte le cose onorevoli, tutte le cose giuste, tutte le cose 

pure, tutte le cose amabili, tutte le cose di buona fama, quelle in cui è qualche virtù e 

qualche lode, siano oggetto dei vostri pensieri... e l'Iddio della pace sarà con voi” (Filippesi 

4:8,9). 

Come dimostrano queste parole, Dio in persona s'interessa al modo in cui noi parliamo 

degli altri. 

Gesù Cristo ha lasciato questo avvertimento: “Or Io vi dico che d'ogni parola oziosa che 

avranno, detta gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio; poiché dalle tue parole 

sarai giustificato, e dalle tue parole sarai condannato” (Matteo 12:36,37; Salmo 52:3-6). 

Desideriamo intrattenere buoni rapporti con gli altri, conservare la pace interiore e, 

soprattutto, onorare il Signore, nella nostra vita? 

Allora seguiamo il consiglio della Parola di Dio: “Voi... siete stati ammaestrati da Dio ad 

amarvi gli uni gli altri:... Ma v'esortiamo fratelli, che vie più abbondiate in questo, e vi 

studiate di vivere in quiete, di fare i fatti vostri e di lavorare con le vostre mani” (1 

Tessalonicesi 4:9-11). 

Interessiamoci agli altri ma in modo amorevole e nei limiti della buona educazione. 

Soltanto così riusciremo a mantenerci lontano dal pettegolezzo malevole e dannoso.

STUDIO

L'adorazione 

Tanto potrebbe dirsi su questo soggetto che rappresenta certamente l'aspetto più ineffabile della preghiera e 

della vita cristiana in generale. Per sua stessa natura l'adorazione è difficilmente definibile. Essa si può, infatti, 

identificare con il culto a Dio (gr. latrèuo) in senso lato, ma indica pure un momento preciso di quella parte 

indispensabile di esso che è la preghiera. 

Solitamente, l'adorazione è associata alla lode ed identificata con essa. In realtà, non sono esattamente la stessa 

cosa. La lode indica più l'entusiasmo del ringraziamento sentito a Dio, che si manifesta particolarmente 

attraverso il canto, per degli atti che Egli ha compiuto, (Esodo 15:1-11, 19) (ciò che Dio fa). L'adorazione è 

soprattutto la pacata ed intensa esaltazione di Dio, riconosciuto come unico ed assoluto Signore dell'universo 

(Neh. 9:6) (ciò che Dio è). In questo senso possiamo dire che, se la lode trova la sua motivazione nelle opere 

di Dio, l'origine dell'adorazione sta più nella Sua stessa Persona (Mat. 2:11; 28:9,17). 

Cosa significa adorazione 

Il termine che si traduce con adorazione o adorare (e le sue coniugazioni) ha la sua radice nella lingua greca ed 

è propriamente: προσκυνηω= proskunèo. 

Il verbo greco προσκυνηω (proschiuneo) può infatti essere tradotto correttamente con adorare, supplicare, 

venerare, rendere omaggio, implorare, baciare, salutare con riverenza. 

Il verbo proviene da προσ pros (davanti) ed una probabile parola derivata da κυνηωkunèo (da κυων kuon = cane) 

che conferisce al termine il significato di baciare, come un cane che lecca la mano del padrone. 

I diversi significati pertanto sono: 

1. Dirigersi verso qualcuno per baciargli la mano, come segno di riverenza; 

2. Fra gli orientali, soprattutto i persiani, cadere sulle ginocchia e toccare il terreno con la fronte come 

espressione di profonda riverenza; 

3. Inginocchiarsi e prostrarsi per rendere omaggio (a qualcuno), sia per esprimere rispetto che per 

supplicare o adorare. Usato soprattutto per indicare l'omaggio mostrato a uomini ed ad esseri di grado 

superiore come ad esempio: 1) a Dio; 2) a Cristo; 3) al sommo sacerdote ebreo; 4) a esseri celesti; 5) a 

Satana. 

Gli orientali, davanti a re e a personaggi potenti, si prostravano e baciavano il suolo, il piede o il ginocchio in 

senso di sottomissione, di rispetto, di venerazione e di omaggio. 

Gli antichi, (e ancor'oggi i popoli appartenenti a civiltà pagane) facevano molti atti di adorazione, o almeno 

tenevano davanti alle divinità, al cospetto dei re e dei grandi personaggi, questo atteggiamento rispettoso o 

adulatorio, ad esempio cfr. Gen. 42:6. 

 

Una breve traccia storica 

I bassorilievi dell'Assiria e dell'Egitto confermano l'usanza di quanto espresso sin'ora, e ne spiegano anche 

figurativamente le suddette etimologie. 

In un bell'affresco scoperto a Tebe nella tomba egizia di un nobile dell’epoca, Sebekhétep (1420 a.C. circa), 

appaiono vari emissari semiti che recano tributi in segno di sottomissione. Si distinguono i caratteristici due 

atteggiamenti di venerazione o adorazione, molto comuni tra gli orientali: le due mani alzate e la prostrazione 

sino a baciare la terra. Questa scena appartiene al periodo in la famiglia di Giuseppe si insediò in Egitto. 

E' importante sapere che fin dai tempi di Platone (427-347a.C.), per distinguere l'adorazione tributata agli dei 

vennero usati dei termini nei quali non v'era riferimento a nessun atteggiamento proprio del corpo. Le stesse 

parole si riscontrano specificatamente nei "LXX" e nel N.T. per significare l'adorazione a Dio: λατρευω = 

latrèuo (atto-servizio-culto di adorazione). 

Qualche secolo prima della venuta di Cristo, i popoli più civilizzati, come i Greci e i Romani, caddero in 

assurde e svariate forme di idolatria, e benché il popolo romano abbia sempre avuto ripugnanza per 

l'adorazione ai viventi - "divus non sit, dum sit vivus" (non sia divino mentre sia vivo) - ed abbia trattato da 

pag. 1 di 3 pazzo Caligola che pretendeva di essere un dio, nei suoi domini orientali e nella metropoli in decadenza, 

cominciando da Domiziano che si attribuì il fastoso titolo di dominus e deus noster, venne introdotta una 

forma cultuale di adulazione che sollevò presto le proteste e le satire di filosofi e scrittori dell'epoca. 

La persecuzione dei cristiani presenti nell'Impero Romano prima dell’editto di Costantino (313 d.C.) era 

dovuta soprattutto al rifiuto da parte di questi dell'adorazione e del culto all'imperatore. I cristiani erano pronti 

a pregare per l'imperatore, secondo l'insegnamento apostolico, ma non a pregare l'imperatore. Perciò i processi 

contro i cristiani non terminarono mai con l'assoluzione, salvo in casi di abiura, la quale implicava l'atto 

pubblico di culto imperiale. 

Fedeli adoratori di Yhawhé 

Israele, in contrasto a tutti i popoli stranieri e idolatri, nonostante le sue sporadiche e purtroppo gravi cadute 

nell'idolatria, contro la quale i profeti levarono sempre la loro ispirata e vivace protesta, con tenaci richiami a 

ravvedimento, non tollerò mai alcuna adorazione ad alcuna persona vivente e dal periodo della cattività 

babilonese, non permise neppure le prostrazioni davanti agli uomini, chiunque essi fossero. 

1. Significativo è il caso di Mardocheo che per la sua fede, rifiutò nel modo più assoluto di prostrarsi 

dinnanzi ad Haman, in segno di adorazione, esponendosi in tal modo al pericolo di far sterminare il 

suo popolo; (Ester 3:2, 5-6). 

2. Ricordiamo la vicenda dei tre giovani nella fornace ardente, fatta preparare dal re Nebucadnetsar per 

coloro che non volevano servire i suoi dèi e adorare la statua d'oro che egli aveva eretta. Era palese 

l'orgoglio di Nebucadnetsar, manifestato in questo atto di piena idolatria e deificazione dell'uomo. 

Shadrac, Meshac e Abed-nego, furono salvati attraverso la fornace della tribolazione. Il loro gesto 

non è da definire tanto eroico, quanto da uomini fedeli e "unici adoratori di Dio"; (Daniele 3:11-12, 

15-18, 28). 

3. Nel N.T. leggiamo di Pietro che si sottrasse alle prostrazioni di Cornelio (Atti 10:25-26). 

4. Nell'Apocalisse, l'angelo, pura e semplice creatura, non permette a Giovanni alcun atto che possa 

essere interpretato come adorazione, e conclude con un'esortazione ed un invito: "Adora Iddio" 

(Apocalisse 22:8-9). 

Quanto sangue è costato al Cristianesimo l'osservanza di questo precetto del Signore! 

Gesù stesso ci ha dato la definizione più precisa del carattere della vera adorazione: «Dio è Spirito; e quelli 

che l'adorano, bisogna che l'adorino in spirito e verità» (Giov. 4:24). 

L'adorazione dei Magi provenienti dall'Oriente, al Re Gesù, è un episodio caratteristico del vangelo di Matteo. 

(Matteo 2:1-2). Già dalla sua nascita Gesù, ancora in fasce, viene adorato e omaggiato da alcuni stranieri. La 

breve narrazione di questo episodio fa allusione certamente ai passi di Isaia 60:5-6 e al Salmo 72:9-15 nei 

quali Gesù viene annunciato quale Re e Signore delle nazioni. 

Perchè l'adorazione 

Adorare Dio è la ragione fondamentale per la quale siamo stati creati, salvati e rigenerati. L'uomo sente ciò 

dentro di se; le sue esperienze nella sfera intellettuale, sentimentale, materiale, non potranno mai sostituire il 

bisogno e l'appagamento primario dell'adorazione. La Bibbia mostra come l'esistenza di Adamo ed Eva non fu 

più la stessa dopo che persero la comunione con Dio, a causa del peccato, perché sfuggirono lo sguardo divino 

e lo ripiegarono su essi stessi. Nell'adorazione l'essere umano viene pienamente soddisfatto, poiché realizza 

che quando Dio regna ed è elevato al di sopra d'ogni cosa lo rende veramente libero (II Cor.3:17-18) da tutti i 

legami che lo attraggono verso il basso, e, in questa suprema libertà, è coinvolto nello splendore della maestà 

divina. 

Comunione calorosa e profonda 

L'adorazione è un'esperienza spirituale cosciente e serena, un intimo incontro fra l'uomo ed il "Suo" Dio, in 

cui Dio rimane Dio e l'uomo rimane uomo, ma nella quale, tuttavia, l'Uno si compiace nell'altro. Infatti, essa 

esprime proprio questa reciprocità di affetti: l'uomo si rallegra in Dio (Habac. 3:18), Dio si rallegra dell'uomo 

(Sof. 3:17), dimorando, in forza dell'opera di Cristo, nell'essere umano (I Cor. 3:16). Vi è come un fiume 

spirituale che scorre, una eccelsa corrispondenza fra il Creatore e la creatura, il Redentore ed il liberato, il 

Padre ed il figlio. 

Adorare è dare a Dio quel che gli spetta, offrirgli la primizia dei nostri sentimenti insieme a tutto noi stessi; 

è quasi far tornare a Dio quei sospiri ineffabili che Egli ha messo in noi col Suo alito (Rom. 8:26; Gen 2:7; Gb 

27:3; 33:4). 

pag. 2 di 3 E' un'offerta che onora Dio, corrisponde ai Suoi desideri e, allo stesso tempo, sazia l'uomo di un 

impareggiabile cibo spirituale. Ci introduce, ci immerge nella conoscenza di Dio "in spirito e verità", cioè 

sulla base della Sua Parola e attraverso la disposizione del nostro spirito (soffio o alito di vita). 

Istanti preziosi 

La vita cristiana è un cammino di fede con Dio, tuttavia per crescere bisogna anche sapersi fermare ai Suoi 

piedi per contemplarLo (Sal. 95:6). 

Una contemplazione tale ci trasforma, permettendoci di ricevere pensieri, propositi, sentimenti nuovi e più alti 

(Filippesi 4:8). Niente quanto l'adorazione purifica il carattere e l'intera vita del credente, elevando la sua 

anima ad una veduta spirituale della realtà (II Cor. 3:18). 

L'adorazione è forse il momento più dolce, nobile, se così si può dire, della preghiera, quando l'uomo, svuotato 

delle proprie mire egoistiche, anche se lecite, è riempito della presenza di Dio. 

Non vi è più l'implorazione per il perdono, la richiesta per il nostro o l'altrui bisogno, la lotta per superare le 

passioni carnali, ma la "disinteressata" ammirazione delle bellezze del Signore, l'ingresso nelle stanze 

"segrete" di Dio (Sal. 5:7; 132:7), ove si gusta la Sua somma grandezza, in cui la voce del Signore imprime la 

Sua ispirata Parola alla nostra vita, in modo certo e personale. 

Un servizio (culto) unico e costante. 

L'adorazione è un servizio unico. È il culto per eccellenza, che offriremo per l'eternità (Apoc. 15:4); 

qualcosa che sorpassa la devozione, il rispetto ed il servizio pratico (pure spirituale ed importante), i quali, 

oltre che a Dio, possono esser resi pure agli uomini. La creatura può anche essere ringraziata, apprezzata per le 

sue qualità, ma l'adorazione può e deve essere tributata esclusivamente a Dio (Atti 10:25-26; Apoc. 19:10), 

non in un vago e istintivo misticismo interiore, bensì "in spirito e verità", cioè secondo la luce e l'armonia del 

perfetto insegnamento della Bibbia. D'altra parte è un privilegio concesso soltanto ai veri figliuoli, riscattati 

dal sacrificio di Gesù Cristo; chi si affida alla propria giustizia non può essere un "vero adoratore" (Giov. 

4:22-23). 

C'è una netta differenza fra adorazione e adulazione (Sal. 66:3), tra spontaneità e formalismo, tra metodo e 

genuinità. 

L'adorazione non è solo uno stare in preghiera, ma una continua e dinamica disposizione del cuore verso le 

meravigliose Persone di Dio: Padre – Figlio – Spirito Santo. 

Essa è una santa bramosia delle esperienze più profonde nella presenza del Signore; il desiderio di essere uniti 

a Lui e la volontà di realizzare senza più alcuna ombra di essere Suoi, di appartenere a Dio in modo speciale, 

quale tempio per la dimora del Suo Spirito. (1Cor. 6:17); 

 

Conclusione 

Quando si adora "veramente", nel culto privato o nell'assemblea, il tempo passa velocemente perché la reale e 

intima comunione con Dio ci distacca dalle circostanze e persino dall’inesorabile trascorrere del tempo 

facendoci sentire più vicini a Lui. (cfr. Dan. 6:10-11) 

Sovente l'adorazione è una voce silenziosa. Soltanto Dio può ascoltare quei sospiri rivolti a Lui dall'anima che 

con devoto anelito si accosta alla maestà divina e proclama che l'Eterno è Dio! (cfr. Salmo 95) 

 

 

A Dio sia la gloria.