RIFLESSIONE

Tutti noi, chi più chi meno, abbiamo dei “confini”, dei limiti che in qualche modo 

ostacolano il nostro cammino cristiano ed il nostro servizio per il Signore e, di 

conseguenza, limitano anche la ricchezza delle benedizioni che egli vuole riversare su di 

noi. La preghiera di Iabes costituisce per noi un prezioso esempio, perché esprime il 

desiderio di superare i propri limiti, allargando “i confini” delle benedizioni e del servizio. 

 

 

IABES: un uomo di preghiera 

“Iabes invocò il Dio d’Israele, dicendo: «Benedicimi, ti prego; allarga i miei confini; sia la 

tua mano con me e preservami dal male in modo che io non debba soffrire!». E Dio gli 

concesse quanto aveva chiesto” (1Cr 4:9, 10). 

“Poiché tutto ciò che fu scritto nel passato, fu scritto per la nostra istruzione, affinché 

mediante la pazienza e la consolazione che ci provengono dalle Scritture, conserviamo la 

speranza” (Ro 15:4). 

Per realizzare il suo piano sulla terra, Dio si è sempre servito degli uomini. Della vita di 

alcuni ci viene riferito poco, di altri invece ci viene raccontata la loro storia in modo più 

dettagliato. Essi non necessariamente dovevano essere superuomini o grandi eroi, ma 

molti di loro erano persone di fede (Eb 11). Questi esempi, che tali devono restare davanti 

al modello per eccellenza del Signor Gesù Cristo, ci invitano e stimolano a far nostro ciò 

che la Parola di Dio ci presenta per il “progetto di vita” di ciascuno di noi credenti. Tramite 

la vita di questi uomini di fede noi possiamo imparare molto. 

 In 1Cronache incontriamo Iabes, un uomo semisconosciuto ai più, la cui storia ci è 

esposta in poche frasi della Bibbia. Il Signore ci guiderà a capire qual era il segreto della 

sua vita, e quindi per quale motivo il Signore ci propone il suo esempio e cosa abbia oggi 

da insegnare a te e a me. 

 Iabes era un uomo di preghiera: attraverso il suo esempio Dio vuole incoraggiarci e 

insegnarci, in ogni situazione della nostra vita, ad avere più fiducia nell’aspettare ed a 

ricevere con ringraziamento i suoi esaudimenti, utilizzando il canale della preghiera. 

Le parole con le quali la Scrittura ci ricorda la preghiera di Iabes ci richiamano alla 

memoria quelle del Signore Gesù quando, parlando con i suoi discepoli, disse loro: “E qualunque cosa chiederete, nel nome mio la farò, affinché il Padre sia glorificato nel Figlio” 

(Gv 14:13), ed ancora: “Finora non avete ancora chiesto nulla nel mio nome; chiedete e 

riceverete, affinché la vostra gioia sia completa” (Gv 16:24). Questo personaggio, così 

lontano ed oscuro nel tempo, aveva imparato a stendere le sue mani portando le sue 

richieste direttamente a Dio, che dà sempre volentieri e che è pronto a riempire di 

benedizioni coloro che egli ama. 

 

 

“Iabes invocò il Dio d’Israele...” 

Iabes aveva capito di dover seguire la strada indicata da Dio, che aveva chiesto al suo 

popolo di non aver altri“dèi” al di fuori di lui. 

Com’è facile in diverse circostanze, anche le più semplici della nostra vita, affidarsi ad un 

altro dio, ad esempio al “dio denaro” oppure al “dio so tutto io” seguendo il nostro 

orgoglio, o le nostre inclinazioni. Non sappiamo come o perché ma Iabes si rivolse ed 

invocò il Signore direttamente. A lui solo fece delle richieste precise e così dirette da farci 

riflettere: una preghiera straordinaria, di poche parole ma con tutto il necessario per una 

vera vita abbondante! 

Nella sua richiesta Iabes mostra una caratteristica particolare: desiderava ricevere molto e 

per questo fece affidamento a chi gli poteva dare tutto quello che il suo cuore desiderava. 

egli sapeva che “il Signore è vicino a tutti quelli che lo invocano, a tutti quelli che lo 

invocano in verità. Egli soddisfa il desiderio di quelli che lo temono, ode il loro grido e li 

salva” (Sl 145: 18-19). 

 Il Signore Gesù stesso più volte espose ai suoi discepoli, e a tutti coloro che lo 

ascoltavano, queste precise indicazioni: “Chiedete con perseveranza, e vi sarà dato; 

cercate e troverete; cercate senza stancarvi; bussate ripetutamente e vi sarà aperto”. 

Credo che niente di più chiaro e forte fu detto dal Signore riguardo alla preghiera. Eppure 

mai come oggi le preghiere dei suoi figli sono deboli e fiacche, se e quando vengono 

elevate. Perché? 

Qualcuno ha affermato che la nostra povertà spirituale vada di pari passo con la nostra 

indolenza nella preghiera, mi spiego meglio: abbiamo poco perché preghiamo poco. 

La Parola rincara la dose affermando: “Non avete perché non domandate”... “Riponi la tua 

sorte nel Signore ed gli agirà”. 

Ma noi andiamo dal Signore a presentarci? 

Quali sono le nostre richieste? E Dio che fa? Risponde sempre alle nostre preghiere? Come 

risponde? Forse Dio non risponde perché noi siamo muti? Oppure perché non chiediamo, 

oppure perché non abbiamo coraggio nel chiedere quello che effettivamente desideriamo? 

E qui non mi riferisco a desideri “carnali” o “mondani” che abbiano come oggetto denaro, 

affetti, lavoro oppure felicità e gioie. 

Una bella risposta su come Dio risponde alle preghiere l’abbiamo con Salomone. A questo 

giovane re Dio diede anche cose materiali, ma in aggiunta alla più bella richiesta che Dio 

possa sentirsi rivolgere: “Dammi, o Dio sapienza ed intelligenza” (2Cr 1:10). 

Salomone chiese a Dio di rivelarsi e di farsi conoscere, ma soprattutto di ricevere la 

sapienza e l’intelligenza per mettere in pratica quello che Dio avrebbe messo nella sua 

mente e nel suo cuore. Ecco perché Dio rispose, dandogli più di quello che aveva chiesto. 

Dio aveva visto cosa c’era realmente nel cuore di Salomone e quindi aggiunse altre 

benedizioni materiali a completamento delle benedizioni spirituali che stava per dargli. 

Che il Signore ci dia di avere le stesse intenzioni e lo stesso sentimento di Salomone e di 

conseguenza di ricevere l’esaudimento. Dio si onora sempre di esaudire coloro che vanno a lui in preghiera con cuore puro, 

presentandogli i loro bisogni. 

Quale fu la prima richiesta o bisogno di questo Iabes? 

 

 

 

 “...dicendo: «Benedicimi, ti prego...»” 

 Iabes desiderava avere da Dio la sua benedizione, voleva avere una vita riempita dalle 

benedizioni di Dio: una vita abbondante. Ancora oggi la sua Parola è vera e preziosa per 

noi quando afferma: “Invocami, e io ti risponderò, ti annuncerò cose grandi e 

impenetrabili che tu non conosci” (Gr 33:3). Dio vuole darci sia la rivelazione della sua 

persona, sia la rivelazione dei suoi piani per noi, ma anche darci ciò che la sua mano ha 

preparato per il nostro bene. 

Sicuramente il suo “dare” ha una misura che non è mai scarsa: Paolo ci ricorda che Dio è 

“colui che può, secondo la potenza che opera in noi, fare infinitamente al di là di quello 

che chiediamo o pensiamo” (Ef 3:20). Paolo sta dicendo che Dio opera in noi così 

potentemente da sorprenderci, perché è pronto a darci quello che i confini della nostra 

memoria/mente/immaginazione nemmeno possono pensare. 

La preghiera di questo uomo di Dio è simile a quella che fece Giacobbe quando si trovò a 

Peniel, nella notte in cui combattendo con l’angelo disse: “Non ti lascerò andare prima che 

tu mi abbia benedetto”. Ma le benedizioni del Signore non arrivano sempre a pioggia su 

tutti coloro che lo invocano. Dio chiede un prezzo: purificazione del cuore e consacrazione 

di vita. Giacobbe sperimentò spesso le correzioni di Dio, a causa della sua vita ribelle e 

egoista. Ma, nonostante questo percorso “tortuoso”, quando si arrese completamente a 

Dio, poté ricevere le benedizioni che erano state preparate per lui. Le benedizioni divine 

scorrono solo verso vasi puri e consacrati, non possono essere riversate in vasi a disonore, 

anche se il nostro Padre celeste si onora di far piovere sui giusti e sugli ingiusti, a motivo 

della sua grazia, di cui mai dobbiamo però approfittare. 

 Ma perché Iabes si rivolse a Dio? 

Leggendo tra le righe, possiamo pensare che fu a motivo di qualche prova che gli creava 

disagio o dolore, sensazioni queste che riempivano il suo cuore, oppure della sua 

insoddisfazione spirituale o chi sa cos’altro. Qualcuno ha detto che l’insoddisfazione è un 

sentimento umano, ma, quando viene applicata alle cose di Dio, può essere un bene. 

Accontentarsi e sentirsi soddisfatti della propria vita spirituale è il modo migliore di privarsi 

delle ricchezze che Dio ha in serbo per noi. Beato colui che è “affamato di Dio” e che, 

riconoscendo i propri limiti e soffrendo per le proprie incapacità, è spinto a cercarlo 

sempre di più. Il Signore vuole che noi cresciamo sempre di più nella fede e che 

giungiamo alla statura “matura”, anche se la perfezione la conosceremo solo in cielo. 

Dobbiamo appropriarci di ciò che Gesù ha conquistato per noi, pagando un prezzo 

inestimabile. Dio vuole darci dei doni straordinari che ci appartengono sin dal momento 

della nostra nuova nascita. Ecco perché questi doni vanno ricercati, perché costituiscono la 

nostra dotazione spirituale, utile per il nostro cammino e per il nostro progresso spirituale. Ma il primo passo è cercare Dio con tutto il nostro cuore e la nostra mente: “Cercate 

prima...”. Cercare sempre di più Dio non solo è buono per noi, ma rende onore a lui stesso 

e gli porta gloria. Che Dio ci dia di ricercare la sua gloria e la sua approvazione e di fuggire 

invece da tutto ciò che non gli fa onore! 

Iabes chiese a Dio di benedirlo, ma in cosa? 

La benedizione più grande che possiamo chiedere al nostro Padre celeste è quello di 

allargare e benedire la cerchia delle nostre conoscenze affinché la sua Parola possa 

raggiungere molte anime. Lui può fare aldilà di quello che noi pensiamo o chiediamo! 

Poniamo mente a ciò che rispondiamo perché noi stessi possiamo“mettere un confine” alla 

potenza di Dio attraverso la nostra “incredulità”. Che ciascuno di noi possa fare propria la 

richiesta di Acsa, quando chiese a suo padre Caleb: “Fammi un dono; poiché tu mi hai 

stabilita in una terra arida, dammi anche delle sorgenti d’acqua” (Gs 15:18-19). Anche se 

ci troviamo in una terra arida, sicuramente possiamo pregare e chiedere a Dio di darci le 

sorgenti d’acqua necessarie per bagnare qualsiasi terreno e farvi spuntare una nuova vita, 

a sua lode e gloria. 

A volte la limitazione alla potenza salvifica di Dio la poniamo noi, anche se sappiamo bene 

che niente e nessuno può impedire a Dio di salvare, eppure possiamo in qualche modo 

rallentare la sua opera con la nostra pigrizia, o la nostra timidezza, o la nostra colpevole 

pochezza. Quando Eliseo fu esortato da Elia: “Chiedi quello che vuoi per te, prima che io ti 

sia tolto”, Eliseo rispose: “Ti prego, mi sia data una parte doppia del tuo spirito”. 

Iabes non si accontentava di ciò che aveva, perciò invocò il Dio d’Israele. Se riconosciamo 

le nostre incapacità o le nostre lacune, invochiamo il Signore ed egli ci soccorrerà. 

Non sappiamo cosa spinse realmente Iabes a pregare il Signore. 

Forse viveva nella difficoltà o nel dolore, così come può accadere anche a noi. Chi, infatti, 

non ha mai sperimentato dolore, sofferenza o prove almeno una volta? Forse avrà avuto 

anche lui timore a rivolgersi a Dio in preghiera, ma comunque Iabes lo fece. 

 

 

 

“Iabes invocò il Dio d’Israele, dicendo: «…allarga i miei confini»”  Che strana richiesta è questa! 

“Allargherò i tuoi confini” era stata una delle prime promesse fatte da Dio al popolo di 

Israele, ancora prima che entrasse nella terra promessa. Le difficoltà che incontriamo nella 

nostra vita, a volte, sembrano insormontabili. Ma il nostro Padre celeste vuole soddisfare i 

nostri bisogni aldilà di quello che potremmo chiedere o pensare. (Ef 3:20). Dio si compiace 

di rispondere alle nostre richieste in questo modo: “Il Signore, il tuo Dio, allarga i tuoi 

confini, come giurò ai tuoi padri di fare, e ti darà tutto il paese che promise di dare ai tuoi 

padri” (De 19:8). Dio può suscitare in noi la forza, oppure togliere gli ostacoli. Iabes non si 

scoraggiò, ma con fiducia si affidò a Dio,“invocò il Dio d’Israele” e quanto è bella e forte e 

incoraggiante la fine di questo passo: “E Dio gli concesse quanto chiese”. Anche Isaia si 

rallegrò quando Dio nella sua grazia operò in favore del suo popolo: “Tu hai aumentato la 

nazione, o Signore! Hai aumentato la nazione, ti sei glorificato, hai allargato i confini del 

paese” (Is 26:15). 

 Dio vuole allargare i nostri confini. E noi cosa vogliamo? Riconosciamo quali sono i nostri 

confini? Un primo confine è quello che ci poniamo noi quando limitiamo la testimonianza 

che lo Spirito Santo vuole portare avanti tramite noi. 

Ma ci sono altri confini che noi siamo chiamati a riconoscere e a chiedere a Dio stesso di 

allargare. Qualche anno fa, partecipando ad un campo giovanile conobbi un fratello, ora 

col Signore, che mi aveva toccato per la sua profonda conoscenza della Parola di Dio. 

C’era in lui qualcosa che lasciava il segno. Sembrava che Dio stesso parlasse tramite lui. 

Durante una conversazione, alla richiesta di un campista incuriosito rispose che, nella sua 

vita, aveva letto la Parola di Dio interamente almeno 60 volte, ma che da anni si era 

fermato a contare. Che conoscenza aveva raggiunto quest’uomo della rivelazione di Dio? 

Ma non era una conoscenza sterile, ed infatti da ogni parola che usciva dalla sua bocca si 

capiva che era stato con Dio a lungo. Il suo volto aveva qualcosa di particolare ed 

ascoltarlo era come sentire musica celestiale. Ecco un confine che dobbiamo chiedere a 

Dio di allargare: quello della sua conoscenza! 

Un altro confine che solo Dio può allargare è relativamente alla nostra vita di preghiera. 

Riporto la testimonianza di un “vero” uomo di preghiera, che conobbi anni fa e da cui 

rimasi colpito e commosso allo stesso tempo. Aveva una lista di qualche centinaio di nomi 

scritti su un foglio sgualcito e spiegazzato, che aveva sempre con sé e che utilizzava 

giornalmente per pregare. Pregava per ogni nome scritto nella lista chiedendo varie cose 

per ognuna di queste persone. Alcune persone erano legate a lui direttamente, altre gli 

erano state raccomandate, ma lui si era preso l’impegno di pregare per loro ogni giorno. 

In quel momento ho realizzato un mio “confine”: mi sono sentito inutile. 

Un altro confine che abbiamo bisogno di veder allargato è interiore. Spesso siamo in 

conflitto con noi stessi. A chi non è mai capitato di avere spesso brutti pensieri, e di 

convivere con un profondo senso di rancore e di mancanza di perdono. Cosa fare in questi 

casi? Le nostre forze, e la nostra mente, non ci aiutano, o ci aiutano poco. Conosciamo a 

memoria decine di versetti sull’argomento, ma nel concreto le cose sono più difficili e la 

teoria non è la pratica. Ecco che attraverso la preghiera possiamo chiedere a Dio di 

allargare le nostre menti. Possiamo chiedere a Dio stesso di metterci nella mente pensieri 

buoni, onorevoli, puri (Fl 4:8 e segg.) e soprattutto di darci la forza e il coraggio non solo 

di perdonare coloro che ci hanno fatto del male, ma anche di iniziare a pregare 

intensamente per queste persone. Solo Dio può farci veramente uscire dai “confini” del 

rancore e del risentimento. L’inizio sarà difficile, ma abbiamo con noi colui con il quale 

possiamo OGNI cosa (Fl 4:13). 

È una liberazione, è una vittoria poter pregare liberamente per coloro che ci hanno fatto 

del male o con cui non andiamo d’accordo. Forse questo non cambierà la situazione, né forse cambierà l’altra persona, ma sicuramente col tempo cambierà noi e il nostro 

atteggiamento e sicuramente avremo benefici dal punto di vista spirituale. 

L’obiettivo della nostra vita non è essere felici, e magari fare tanti soldi, o avere quello che 

ci piace. Quello che Dio ci chiede è importante e non va sottovalutato, noi siamo chiamati 

ad essere come Dio stesso qui sulla terra. Dovendo essere come Dio, dobbiamo avere la 

sua mente, il suo cuore, lasciando scorrere in noi il suo amore. Un amore straordinario 

che, come il Signore sulla croce, ci porterà a pregare “Padre perdona loro...”. 

Che Dio possa allargare i miei confini, dandomi anche la sua vista spirituale. 

Cosa significa questo concretamente? 

Quante volte intorno a me ci sono fratelli e sorelle che hanno bisogno, che soffrono, 

magari in silenzio? E io che faccio? 

Sono chiamato a sostenerli! Se al mio posto ci fosse il Signore Gesù, che farebbe? Ora e 

adesso che farebbe? E io che sono un suo discepolo che cosa voglio fare? Vivo realmente 

la sua vita qui sulla terra? Amo Dio realmente? Amo realmente coloro che Dio mi ha messo 

intorno? Li amo concretamente con i miei mezzi, il mio tempo e le mie forze? 

Per allargare le frontiere spirituali possiamo (e dobbiamo!) essere come il Signore Gesù 

che pregava in continuazione per i bisogni del popolo e delle persone che gli stavano 

intorno. Qualcuno ha detto che pregare continuamente è la salute dell’anima, la sua forza, 

la sua grandezza e la sua gloria. Non pregare è il sintomo certo ed evidente di una 

malattia spirituale che può far molto male. 

I confini a volte possono rappresentare una protezione: “Tu hai posto alle acque un limite 

che non oltrepasseranno, esse non torneranno a coprire la terra”, ed ancora “Chi racchiuse 

con porte il mare…e disse: «Tu arriverai fin qui, ma non oltre, qui si arresteranno le tue 

onde superbe»”. (Sl 104:9; Gb 39:9, 11). Le onde della paura che ci vogliono sommergere 

devono fermarsi davanti ai limiti posti dal Signore. Se nella nostra vita ci sono dei 

fallimenti, in un certo senso può essere un bene, perché può evitarci il rischio di diventare 

presuntuosi. È una benedizione quando riusciamo a comprendere l’importanza della 

dipendenza dal Signore Gesù per ogni aspetto della nostra vita spirituale. 

Solo nella nostra pochezza si può manifestare la grandezza e la potenza di Dio: “Il Signore 

è grande oltre i confini di Israele” (Ma 1:5). “Egli mantiene la pace entro i tuoi confini, ti 

sazia con frumento scelto”. Il Signore può mettere un riparo intorno a noi, alla nostra casa 

e a tutto ciò che possediamo…benedicendo l’opera delle nostre mani (cfr. Gb 1:10). Lui 

può questo e il suo contrario, se solo questo può servire per farci dire:“Riconosco che tu 

puoi tutto, che nessun tuo disegno può essere impedito…per questo ho detto cose che 

non comprendevo... il mio orecchio aveva sentito parlare di te, ma ora il mio occhio ti 

vede” (Gb 42:2,4). Dobbiamo avere la consapevolezza che da noi stessi non possiamo 

nulla, che non siamo nulla. È in Gesù che possiamo tutto, abbiamo tutto e siamo tutto. 

Dio ha un progetto per me, per la mia vita spirituale, per la mia vita familiare, per la mia 

chiesa. Lui sa cosa sta facendo in me e per me e con me. A me resta solo di dirgli: “Parla, 

o Signore, perché il tuo servo ascolta” e mi permetto di aggiungere: “e vuole ubbidirti”. 

Ricordo la testimonianza di una giovane donna che aveva imparato a pregare per ogni 

cosa. Pregava ogni volta che poteva per tutti coloro che le stavano intorno, piccoli alunni 

(era una maestra), oppure per i suoi colleghi o per i genitori dei ragazzi della sua scuola. 

In ogni occasione pregava, anche nei luoghi più impensati. Come posso io imitare tali 

esempi? Devo avere la consapevolezza che solo lui può tutto e, quindi, a lui solo devo 

rivolgermi. 

Un altro confine da allargare è quello di avere un cuore riconoscente verso il Signore. 

Questo è un confine che il Signore vuole e può allargare nella mia mente e nella mia vita 

per darmi un cuore riconoscente come quello di Paolo: “So vivere nella povertà e anche nell’abbondanza, in tutto e per tutto ho imparato ad essere saziato e ad avere fame; ad 

essere nell’abbondanza e nell’indigenza”. Paolo aveva certamente imparato ad essere 

contento e soddisfatto di ciò che Dio gli stava dando. Egli era soddisfatto perché sapeva 

che anche le difficoltà a volte possono esser un dono che Dio si onora di darci. 

 

“Sia la tua mano con me” 

Con questa richiesta Iabes chiese a Dio di avere la sua guida e la sua protezione. Questo è 

l’atteggiamento spirituale delle persone che hanno imparato a non confidare in sé stesse o 

in quello che possiedono o nelle loro amicizie, ma che vogliono raggiungere ad ogni costo 

le mète fissate da Dio. “La tua mano mi aiuti, perché ho scelto i tuoi precetti” (Sl 

119:173). “Mi guiderai con il tuo consiglio e poi mi accoglierai nella tua gloria. Ma pure, io 

resto sempre con te, tu mi hai preso per la mano destra” (Sl 73:23-24). 

Iabes chiedeva a Dio stesso non solo la sua benedizione o una nuova visione (“allarga i 

miei confini”), ma gli stava chiedendo di prendere lui in mano la sua vita e di condurla 

direttamente. Iabes non voleva seguire le sue vie ma le vie indicate da Dio; per questo gli 

chiese “sia la tua mano con me”. 

Oh, come sarebbe diversa la vita di noi credenti, se ponessimo nella nostra mente queste 

parole e le “vivessimo” nella pratica quotidiana! Dovremmo pregare ogni giorno: “Signore 

poni oggi la tua mano su di me, perché non voglio vivere nemmeno un giorno senza di te, 

e senza il tuo consiglio non voglio andare da nessuna parte”. Così come faceva Esdra (Ed 

7:7, 9, 29): “O Signore, fammi conoscere le tue vie, insegnami i tuoi sentieri. Guidami 

nella tua via ed ammaestrami, perché tu sei il Dio della mia salvezza; io spero in te ogni 

giorno. La mano del Signore era con loro”. Molti testi nel Vecchio Testamento ricordano 

che non sono le nostre forze a salvarci dai nemici, piuttosto il nostro Dio: 

“Gli uni confidano in carri, gli altri nei cavalli; ma noi invocheremo il nome del Signore, del 

nostro Dio. Quelli si piegano e cadono; ma noi restiamo in piedi” (Sl 20:7, 8). 

 

“Preservami dal male in modo che io non debba soffrire!” 

Tutti noi abbiamo bisogno di essere ogni giorno protetti sia dal maligno sia dal male, che il 

nemico manda per spaventarci o per renderci inoffensivi e tenerci in “panchina”. Le insidie 

del maligno sono tante e tali che non devono essere sottovalutate, sempre che vogliamo 

vivere una vita abbondante e piena nel Signore. Dobbiamo ricordare che, se il Signore ci 

vuole forti in lui, c’è qualcuno che ci vuole deboli. Se il Signore ci ha salvato, c’è qualcuno 

che, se non può farci perdere la salvezza, può però farci perdere la gioia della salvezza. La 

fiducia con cui Iabes si rivolse al Signore deve essere anche la nostra. 

In Gesù abbiamo la possibilità di vincere ogni cosa. Non ci sono dubbi, sofferenze, dolori, 

disagi, malattie spirituali che non possano essere guariti: con lui possiamo vincere ogni 

nostro problema. “Colui che è in voi è più grande di colui che è nel mondo” (1Gv 4:4b). 

Gesù stesso aveva insegnato ai suoi discepoli a pregare: “Non ci esporre in tentazione, ma 

liberaci dal maligno”. La richiesta di Iabes ancora una volta confidava nel suo Dio che 

rispondeva e che anche lo poteva proteggere. A dire il vero la richiesta completa arriva a 

chiedere a Dio di non farlo soffrire. Questa richiesta certamente ci mostra che quest’uomo 

era uno come noi. A chi, infatti, piace soffrire? Credo a nessuno! Nemmeno agli uomini (o 

donne) che la Parola di Dio ci presenta come eroi della fede piaceva soffrire, nemmeno a 

Iabes. La sofferenza è qualcosa che non ci piace, perché ci debilita, ci fa male, oppure ci 

toglie la gioia di vivere, se non il sonno. Eppure nonostante alcuni di noi soffrano, vediamo 

che Dio non sempre libera dai dolori, o dalle sofferenze, anche se lo chiediamo. 

Che dire? Che Dio non si prende cura o non si dà pena di noi? No di certo! Credo che Dio, 

nella sua immensa sapienza e saggezza sappia darci ciò che è giusto e buono per noi o, per una certa situazione in cui ci troviamo, ciò che è il meglio. Noi possiamo sempre 

presentare le nostre preghiere al Signore e, anche se il male o i dolori persistono e non se 

ne vanno abbiamo una promessa certa: “Io non ti lascerò e non ti abbandonerò”. “Io so i 

pensieri che medito per voi, dice il Signore, pensieri di pace e non di male, per darvi un 

avvenire e una speranza”. (Gr 19:11). Il senso di questo versetto sta nelle sue parole 

finali. Quello che Dio fa e opera per noi è per il nostro avvenire e per farci guardare “in 

avanti e in alto”. Le prove sono la palestra che Dio usa per la nostra crescita e per farci 

maturare, oppure per darci ciò che lui stesso ha preparato per noi.Spesso nelle prove ci 

sono benedizioni spirituali che, altrimenti, non potremmo nemmeno scoprire o pensare. Un 

fratello ha detto: “Tutta la sofferenza, di qualunque grado essa sia, diventa utile quando 

noi sappiamo spiritualmente trarne profitto”. 

Iabes desiderava diventare come Dio lo voleva e desiderava crescere spiritualmente 

all’immagine di Dio. Se Iabes doveva fare questa scuola, allora non poteva contare sulle 

sue capacità, ma doveva dipendere in ogni cosa da Dio stesso, per permettere a lui di 

agire. Il progresso della nostra vita spirituale talvolta avviene attraverso prove e 

sofferenze. Questo molti di noi lo sanno per diretta esperienza. Nella sofferenza il nostro 

Maestro ci dona certe lezioni benefiche che possono imprimere la sua immagine nei nostri 

cuori e nelle nostre menti. Che tipo di prove avesse passato Iabes non lo sappiamo, ma in 

ogni caso, e in ogni cosa lui reagì positivamente al suo dolore, con fiducia e fede si rivolse 

al Signore. 

 

 

“E Dio gli concesse quanto aveva chiesto” 

“Dio gli concesse quanto aveva chiesto”: che bella risposta alla sua preghiera! Questa 

risposta ci mostra l’affetto che Dio Padre ha per noi, un affetto ben descritto dal salmista: 

“Poiché egli ha posto in me il suo affetto, io lo salverò; lo proteggerò, perché conosce il 

mio nome. Egli mi invocherà, e io gli risponderò; sarò con lui nei momenti difficili; lo 

libererò, e lo glorificherò” (Sl 91: 14-15). Iabes aveva posto in Dio il suo affetto, cioè 

aveva il cuore disposto per Dio, lo cercava, lo invocava. Sapeva dipendere in tutto e per 

tutto da Dio e lo conosceva personalmente. Ecco perché Dio lo aveva ascoltato e liberato e 

lo aveva benedetto come richiesto. L’essere ben visto da Dio e da lui benedetto non è 

certamente frutto dei nostri meriti, ma della sua grazia che ci viene donata con 

abbondanza. Questa grazia ci dona la gioia di sperimentare grandi esaudimenti nelle 

nostre preghiere. 

È sicuramente secondo la volontà di Dio darci le sue benedizioni, ma a noi è dato di 

chiederle. Certo, chiedere le sue benedizioni significa pagare il prezzo di una 

consacrazione e di una purezza di vita che Dio “richiede” come premessa. Dio ha tanti 

progetti per noi, e a noi è dato di entrare in questa “via” di benedizioni attraverso una vita 

consacrata a Lui. Dobbiamo dare a Dio le occasioni di benedire la nostra vita. 

Iabes invocò il Signore e gli chiese ciò che sappiamo. Impariamo anche noi a invocare di 

più e con precise richieste il Signore. 

Ricordiamoci che il nostro Dio non è povero, né misero, né avaro. Egli è “colui che può 

mediante la potenza che opera in noi, fare infinitamente di più di quel che domandiamo o 

pensiamo”. Egli vuole operare e con potenza in noi! 

Ma noi lo vogliamo? 

Se la nostra risposta è no, allora dobbiamo sapere non solo che Dio non è contento ma 

che farà di tutto per farci cambiare idea, perché non ci vuole né oziosi né sterili. Ma non 

forzerà mai la mano e al nostro rifiuto ci lascerà “in panchina” e il nemico sarà contento. Se invece la nostra risposta è sì, allora andiamo con fede in preghiera a colui che può fare 

infinitamente aldilà di quello che noi pensiamo o chiediamo. E impariamo ad aspettare le 

sue risposte d’amore! 

Che Dio ci dia di conoscerlo sempre di più, liberandoci dalle nostre barriere ed allargando i 

nostri confini ogni giorno di più, in vista dell’entrata nel “territorio senza confini”: l’eternità! 

“A Lui sia la gloria nella chiesa, in Cristo Gesù, per tutte le età nei secoli dei secoli. Amen”.