MARATONA

Qualche anno fa mi iscrissi a una maratona.

Nulla di serio, giusto una corsetta organizzata dal quartiere.

Non essendo il più saggio dei corridori, partii in quarta.

Percorso un miglio, annaspavo in cerca d’aria.

Al momento giusto, tuttavia, gli spettatori pensarono bene di incoraggiarmi.

Qualche astante solidale mi spronò a non mollare.

Una signora compassionevole mi diede da bere, un’altra innaffiò me e gli altri con una canna da giardino.

Non avevo mai visto quelle persone, ma non aveva importanza.

Avevo bisogno di qualcuno che mi incoraggiasse e loro lo fecero alla grande.

Sostenuto dalle loro rassicurazioni andai avanti indomito.

E se nei tratti più difficili della gara mi fossero giunte voci di accusa invece che di incoraggiamento?

E se le accuse fossero provenute non da estranei che avrei potuto ignorare, ma dai miei vicini e dai miei familiari?

Ti piacerebbe se mentre stai correndo qualcuno ti urlasse contro queste parole: “Ehi, ipocrita! Perché non inizi a fare qualcosa di onesto nella tua vita?” (vedi Giovanni 7:12).

“Ecco che arriva il forestiero. Perché non ritorni da dove sei venuto?” (vedi Giovanni 8:48).

“Da quando in qua i figli del diavolo hanno accesso alla gara?” (vedi Giovanni 8:48).

Fu questo che accadde a Gesù.

La Sua stessa famiglia lo reputò un lunatico.

I vicini lo trattarono ancora peggio.

Quando Gesù ritornò nella Sua città natale, cercarono di gettarlo giù da una rupe (Luca 4:29).

Ma Gesù non smise di correre.

Le tentazioni non lo scoraggiarono.

Le accuse non lo sconfissero.

E l’infamia non poté abbatterlo.

Ti invito a riflettere a fondo sulla massima prova che Gesù dovette sostenere nel corso della gara.

La Bibbia afferma che Gesù: “Disprezzò l’infamia” (Ebrei 12:2).

Che affermazione stimolante! In altre parole, Gesù accettò l’infamia come se fosse una cosa da nulla.

L’infamia è un sentimento di vergogna, di imbarazzo, di umiliazione.

Perdonami se risveglio i tuoi ricordi, ma non credi di avere qualche momento infamante alle spalle?

Ti immagini l’orrore che susciteresti se qualcuno ne venisse a conoscenza?

E se una videoregistrazione di quell’evento circolasse tra i tuoi familiari e amici?

Come ti sentiresti?

Gesù si sentì proprio così.

Perché? mi chiedi.

Non fece mai nulla di infamante.

No, Lui no. Ma noi sì.

E poiché sulla croce Dio lo fece diventare peccato (II Corinzi 5:21), Gesù fu ricoperto di infamia.

Fu svergognato davanti alla Sua famiglia.

Denudato davanti a Sua madre e ai Suoi cari.

Svergognato davanti ai Suoi simili.

Costretto a portare una croce finché quel peso non lo fece inciampare.

Svergognato davanti alla Sua chiesa.

I pastori e gli anziani dei Suoi tempi lo schernirono e lo coprirono di insulti.

Svergognato davanti alla città di Gerusalemme.

Condannato a patire la morte riservata ai criminali.

E’ probabile che i genitori lo indicassero ai propri figli dicendo loro: “E’ questa la fine che fanno i cattivi”.

Ma la vergogna di fronte agli uomini non aveva paragoni con la vergogna che Gesù provò di fronte a Suo Padre.

La nostra vergogna individuale ci sembra impossibile da sopportare.

Puoi immaginare che cosa significhi portare su di sé l’infamia di tutta l’umanità?

Un’ondata di infamia dopo l’altra riversata su Gesù.

Non truffò mai nessuno, ma fu condannato come un truffatore.

Non rubò mai nulla, ma il cielo lo considerò un ladro.

Non mentì mai, ma fu reputato un bugiardo.

Non ebbe mai pensieri lascivi, eppure fu considerato alla stregua di un adultero.

La Sua fede non venne mai meno, eppure fu bollato come un miscredente.

Queste parole suscitano un interrogativo: “Come?”

Come poté sopportare una tale ignominia?

Che cosa diede a Gesù la forza di sopportare l’infamia di tutto il mondo?

“La gioia che gli era posta dinanzi” (Ebrei 12:2).

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