IL GIUSTO ORDINE
"...procacciate la perfezione, siate consolati,...” (II Corinzi 13:11)

Molte persone perdono sia la perfezione sia la consolazione perché le dispongono nell’ordine sbagliato. Mettono al primo posto “siate consolati” e lasciano che “procacciate la perfezione” rimanga indietro, a cercare la propria strada come meglio può. Il loro ideale e la prova della validità della religione consistono nel sentirsi felici. In molte chiese ci sono schiere di giovani per le quali l’unico pensiero abbinato alla religione è quello di realizzare la felicità personale. Ritornano a casa la domenica sera dopo un sermone toccante, e dicono: “Bene, penso proprio di essere salvato, stasera mi sento più felice”, l’indomani, però, quella felicità scompare e cedono di nuovo alla disperazione. Così accade per i campeggi cristiani e le riunioni di culto speciali. Per molti, i sentimenti sono l’unico indicatore con il quale valutare la propria condizione spirituale, senza tenere in alcuna considerazione l’effettivo stato di salute in cui si trova il loro spirito. L’inizio e il fine della loro religione risultano nell’essere felici. Per molti funziona così, perciò vale la pena considerare attentamente la questione. Esaminiamo con coraggio il problema: il grande scopo e proposito della nostra fede è quello di farci sentire felici? Si tratterebbe senza dubbio di un ideale di vita miserabile e indegno. Leggiamo i memoriali di grandi uomini che hanno fanno la storia di intere nazioni. Chi sono? Molti di loro sono guerrieri che avanzano per affrontare eserciti di disagi, e persino la morte, in svariate forme. Pensate che potessero sentirsi felici, in quei frangenti? No di certo. Quel che operarono non ebbe nulla a che vedere con il desiderio di sentirsi felici! Essi dovevano eseguire il proprio dovere o morire cercando di adempierlo: fecero l’una o l’altra cosa, e la nazione li dichiara eroi. Pensate ai vigili del fuoco, ai filantropi e ai martiri che hanno vissuto, faticato e sofferto, e che sono morti per essere di benedizione per i propri simili: la loro vita è stata una fatica incessante e un sacrificio perpetuo. A questi grandi personaggi potremmo forse innalzare una lapide solenne con la scritta: “Qui giace un uomo che si sentiva felice”? “Era una persona nobile, che si alzava la mattina, mangiava, beveva, comprava, vendeva, fino a raggiungere il proposito più elevato dell’esistenza: sentirsi felice!”. Se questo è lo scopo supremo e l’esito finale della mia professione di fede, gli altri possono trovare da qualsiasi altra parte un ideale di vita altrettanto valido.